Le piante e i loro derivati sono utilizzati sin dalla notte dei tempi, Ramsete utilizzava estratti di salice bianco per curare il suo mal di testa; sono stati impiegati per stimolare i processi di guarigione, uccidere i patogeni o rivitalizzare l’organismo debilitato.

Si parla di aromaterapia sin dal XIX secolo, ma in realtà gli oli essenziali (O.E.) sono stati utilizzati per secoli nei riti religiosi e persino in profumeria.

La prima vera ricerca di cui si sia trovata traccia risale alla fine dell’800 con Chamberland (1887), alla quale fece seguito quella di Cavel all’inizio del XX secolo, relativa agli effetti di una selezione di 35 O.E. su culture microbiche effettuate su liquami (il timo risultò il più efficace).

Quindi il Prof. Griffon, membro dell’Accademia di farmacia francese, dimostrò come una miscela di sette O.E. (cannella, chiodi di garofano, lavanda, menta piperita, pino, rosmarino e timo) fosse in grado di distruggere stafilococchi e muffe presenti nell’aria dopo soli 30’ (Valet 1980, p.37).

Si tratta di rimedi che possono trovare un vasto impiego sia nella pratica professionale quotidiana che negli ospedali, così scriveva Pahalow:

 

Le piante sono una parte integrante della medicina naturale e neppure il più ortodosso dei medici può farne a meno; infatti rappresentano il trait d’union tra il naturale e l’ortodosso, tra il tradizionale e il nuovissimo” (Pahlow, 1980)

Gli oli essenziali sono strumenti raffinati, eleganti ed in parte ancora misteriosi, dal momento che ancora non è chiara la modalità attraverso la quale si sviluppa la loro azione, azione dimostrata da un numero enorme di ricerche scientifiche e di prove empiriche. Nello studio degli effetti di queste sostanze è importante capire che la loro efficacia dipende in misura determinante dalla sinergia che si sviluppa tra i suoi componenti e il contributo principale non necessariamente viene fornito dal principio attivo presente in misura maggiore. In molti casi inoltre si è evidenziato come i principi presenti in quantità ridottissime fossero più efficaci, rispetto ad altri presenti in maggiore quantità.

La loro stessa tossicità, inoltre, non dipende esclusivamente della natura del componente principale, quanto dai rapporti che si determinano tra di esso e i componenti minori, in parte ancora sconosciuti, noti per le loro capacità di ridurne gli effetti indesiderati. In un certo olio essenziali quindi possono coesistere sostanze tossiche e i loro antidoti.

Il meccanismo d’azione intrinseco a questa importantissima classe di farmaci rappresenta il loro punto di forza e di estrema debolezza assieme: se da un lato sono in grado di uccidere il patogeno, dall’altro non possono fare a meno di danneggiare (se non distruggere) anche quei componenti microbici intestinali indispensabili per mantenere in salute il nostro organismo.

Va però sottolineato come, a differenza dei farmaci di sintesi, la loro azione non si limiti a contrastare la presenza dei patogeni, ma anche e soprattutto a modulare lo squilibrio neurovegetativo del terreno che ospita il patogeno stesso.

Infine, va ricordato come il corpo umano tenda ad assuefarsi agli effetti di farmaci di origine chimica che, se somministrati per lunghi periodi, manifestano la necessità di un continuo aumento dei dosaggi utili per produrre il medesimo effetto. Tutto questo non accade quando la scelta terapeutica cade sull’uso degli O.E., che anzi conservano intatta la loro efficacia anche dopo applicazioni ripetute ed addirittura sembrano rafforzare l’organismo mentre nel contempo combattono i microrganismi patogeni.

Yersinia enterocolitica

 

 

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